L’etica è d’intralcio allo sviluppo economico e civile del nostro Paese o, viceversa, può essere una risorsa? Riducendo la questione all’osso, questa è la domanda che sollevano i tre incontri organizzati dalla Fondazione Banca Europa presso il Teatro Dal Verme di Milano: lunedì 5 maggio con Umberto Galimberti, martedì 13 con Giulio Giorello e lunedì 19 con Giulio Sapelli.
L’iniziativa si inserisce in un dibattito estremamente fertile e aperto da tempo, che finora si è concentrato prevalentemente su due ordini di problemi. Da una parte, quali limiti è opportuno imporre alla ricerca scientifica (per esempio, nell’ambito della manipolazione genetica). Dall’altra, quali scopi deve perseguire l’attività economica, oltre al profitto (o, detto altrimenti, il profitto è il fine supremo dell’economica capitalistica o può essere mezzo per fini ad esso superiori?). Il presupposto è che tanto la ricerca scientifica quanto l’attività imprenditoriale, se abbandonate a se stesse, rischiano di produrre più danni che vantaggi alla collettività, alimentando il declino della civiltà occidentale.
In sostanza, negli incontri promossi dalla Fondazione Banca Europa e nel più ampio dibattito in cui essi si inseriscono si può vedere la reazione di un umanesimo aggiornato di fronte alle sfide irrisolte della modernità. Si tratta di una presa di coscienza tanto più onorevole in quanto, di fatto, sottrae alla Chiesa Cattolica il monopolio della difesa dei principi umanistici. Lo scopo è appunto restituire umanità alle tendenze fondamentali del nostro tempo che, invece, sembrano muovere verso un regime di tipo tecnocratico. Non solo la scienza e l’economia, infatti, ma anche la politica e la cultura oggi tendono a diventare tecnica o a essere subordinate alla civiltà della Tecnica (su questi temi Martin Heidegger, prima, e Emanuele Severino, poi, hanno scritto pagine illuminanti da cui non è possibile prescindere).
Tale prospettiva, pur nella sua onorabilità, non può tuttavia esimersi dallo sciogliere alcuni nodi critici fondamentali, a partire dal carattere intimamente relativistico e conflittuale dell’etica: quelli che sono valori per me sono difatti disvalori per un altro, e viceversa. Da un lato, l’etica unisce (trasforma in gruppo coloro che si riconoscono in una determinata tavola di assiomi), dall’altro lato divide (esclude dal gruppo coloro che non condividono quei valori).
Di fronte alla questione spinosa dell’aborto, per esempio, sia chi difende la libertà di scelta della donna sia chi difende la vita dell’embrione (in quanto attore più debole) si richiama a principi etici e affronta il problema in termini etici. Chi ha ragione? Come si risolve il conflitto? Come stabilire a quale dei due valori (la libertà della donna o la vita dell’embrione) dare priorità? Di fronte a queste domande, l’etica ha le armi spuntate. Bisogna ricorrere a un principio superiore (la volontà di Dio) oppure riconoscere che non esiste alcun principio superiore e affidarsi a un puro metodo aritmetico, quello della democrazia: il volere della maggioranza degli elettori.
E qui si apre un problema ancora più vasto. Perché esiste sempre la possibilità che la maggioranza degli elettori scelga contro l’etica o al di fuori dell’etica. Per esempio, facendosi guidare dai propri interessi, dalle proprie emozioni, dalle proprie paure (lo straniero, l’alieno: meridionale, zingaro, rumeno, extracomunitario che sia). Per sua natura, l’etica reclama sempre un’attività di coscienza, che il metodo della democrazia invece di per sé non presuppone (la democrazia non distingue il voto del cosciente da quello dell’incosciente, il voto di chi agisce eticamente da quello di chi agisce in modo non etico). Di più. L’etica non ammette né azioni né scelte che non siano guidate dalla coscienza. Come è noto, la sua peculiarità consiste nel disciplinare l’agire, e cioè nel fissare dei limiti alla libertà di ciò che si può o non si può fare. Separando il bene e il male, l’etica aspira a introdurre una misura d’ordine all’interno del Caos.
Lo fa tuttavia in modo diverso dal diritto, che come l’etica fissa dei limiti alla libertà d’azione, ma in modo assoluto, senza appellarsi alla coscienza individuale. Per il diritto, rubare è un reato in quanto tale, indipendentemente dai miei convincimenti o dalla consapevolezza che ho delle mie azioni. L’etica al contrario mi chiede di rinunciare liberamente a rubare (di rinunciarvi con coscienza), convincendomi che rubare è male. Gli strumenti dell’etica sono per definizione quelli della persuasione (della pedagogia e della retorica, avrebbero detto gli antichi).
Già! Ma perché rubare è male? L’etica (l’etica laica) non è in grado di spiegarmelo. Perché il suo statuto è debole. I fondamenti dell’etica si collocano infatti al di fuori della sua sfera concettuale. Si collocano nella metafisica. I principi dell’etica cioè non possono prescindere da un criterio di verità, ossia da un criterio che garantisca che effettivamente rubare è male. Ma nell’epoca del crepuscolo degli dèi, che si è sbarazzata di ogni metafisica e proietta gli uomini al di là del bene e del male, su quali fondamenti può poggiare l’etica? Che cosa la sorregge e la giustifica, una volta sradicata dal terreno naturale in cui affondava?
La domanda resta aperta. E certo non la si ripropone qui per sminuire l’importanza dell’iniziativa milanese della Fondazione Banca Europa. Tutt’altro. Semmai l’intento è valorizzarla. Perché da queste questioni dipende il destino collettivo non solo del nostro Paese ma anche dell’intero Occidente.
Per la ricchezza della nazione
L’etica può servire allo sviluppo?
Milano - Teatro Dal Verme
Lunedì 5 maggio, ore 18,30
Incontro con Umberto Galimberti
Partecipano: Maurizio Belpietro, Adriano De Maio, Giancarlo Galli, Oscar Giannino, Pietro Ichino, Emanuela Palazzani, Elserino Piol, Bruno Tabacci; conduttore: Alessandro Cecchi Paone; info e prenotazioni: Fondazione Banca Europa, tel. 02/62699146, fax 02/62694922; e-mail forum@fondazionebe.eu
1 commento:
Incontri estremamente interessanti. La questione della tecnica è fondamentale e non investe solo la scienza ma tutto il nostro mondo (“l’età della tecnica): ridurre, come è in voga oggi, la scienza, l’economia, la politica a tecnica, pensarle come tecnica, fa sì che esse siano un destino sul quale non possiamo farci niente e non fa che favorire il disimpegno. Ormai l’impegno ha la “bellezza dei fossili rari”, per dirla con Heidegger. Anzi no, probabilmente per la maggior parte di noi non ci trova più nemmeno un briciolo di bellezza…
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