Un ultimo avviso ai partiti: o cambiate radicalmente o via tutti. Potrebbe essere interpretato così il messaggio che l’elettorato ha voluto mandare con i ballottaggi nei grandi centri urbani: Parma, Genova, Palermo. E, in parte, sembra crederlo anche Ferruccio de Bortoli nel commento rilasciato a caldo alla tv del Corrierone. Può darsi. Ma può anche darsi che il messaggio sia più drastico. Può darsi cioè che l’elettorato guardi già oltre il sistema della seconda Repubblica. E può darsi che il tempo per gli attuali partiti sia già scaduto da tempo.
La tentazione è di liquidare i risultati come un “voto contro”. Contro gli attuali partiti, contro la
casta. E se così non fosse? Se invece fosse un voto a favore? Non a favore dei partiti, s’intende. Ma un voto a
favore degli uomini che, non appartenendo all’apparato, hanno saputo affermare
una loro individualità, si sono battuti
(per delle idee, un programma), hanno detto quelle verità che gli altri candidati
tacciono per convenienza. In attesa della formazione di un nuovo sistema (la
terza Repubblica), non resta che far così: puntare
sull’uomo, evidenziare chi è affidabile e chi non lo è. Insomma, far pulizia.
Questa era forse la ragione del successo di Pisapia a Milano. Questa mi sembra che potrebbe essere la ragione
del successo di Marco Doria a Genova
(prima alle primarie e oggi al ballottaggio), e di Federico Pizzarotti del MoVimento 5 Stelle a Parma. Direi che
potrebbe essere anche la ragione del successo di Leoluca Orlando che non è certo un homo novus, però ha una sua individualità, è un essere pensante.
Non è un numero, non è un burocrate. E non vi sembra normale che l’elettorato
preferisca esser amministrato da un essere pensante anziché dagli apparati? È
la rivincita dell’uomo normale,
l’uomo come noi, l’uomo che lavora e che vuole uno Stato che non soffochi la
società civile: con gli sprechi, con le tasse esorbitanti, i privilegi, l’occupazione delle cariche, i doppi e tripli incarichi, le riforme annunciate e sempre procrastinate, le autogiustificazioni, ecc. Chiamiamola l’umanizzazione della politica.
Se così fosse, il voto di oggi (e dell’ultimo anno), darebbe
indicazioni concrete alle forze a venire, di destra e di sinistra, che prima o
poi si formeranno, sia per quanto riguarda la scelta del personale politico sia
per quanto riguarda la priorità dei temi da affrontare. Ma, se avesse ragione de Bortoli (che nel corso del pomeriggio ha ulteriormente articolato e precisato il suo commento), il panorama –
almeno a sinistra – sarebbe molto più sconfortante. In effetti, può anche
essere che il Pdl, scottato dai
risultati, reagisca. Ma dovrebbe davvero sciogliersi in una nuova formazione, questa
volta autenticamente liberale e ripulita dei figuri più impresentabili. E chissà poi
se un ex democristiano come Angelino Alfano
risulterà credibile nei panni del leader liberale. Lo giudicheranno gli elettori di centrodestra, non è un problema nostro.
Il guaio è il Pd. È soddisfatto dei risultati, quindi non cambia: continuerà a vivacchiare. Le prende alle primarie, le prende ai ballottaggi nei tre posti chiave che hanno una valenza politica, non esprime un sindaco in nessuna delle grandi città, eccezion fatta per Torino. Però è soddisfatto dei piccoli comuni strappati al centrodestra. La dichiarazione di Pierluigi
Bersani è surreale: «Noi, senza se e senza ma, abbiamo vinto le
elezioni amministrative dell’anno 2012» ha detto. «Abbiamo avuto
risultati incredibili, straordinari.» Straordinari? Giocando una partita contro
il centrodestra spaccato, la Lega
azzoppata dagli scandali, l’astensionismo alle stelle e il soccorso di una miriade di liste civiche? Boh, contenti
loro.
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