lunedì 13 febbraio 2012

The Iron Lady: la verità dopo il potere

Il film su Margaret Thatcher, splendidamente interpretata da Meryl Streep, punta tutto sul dramma esistenziale. Ma dimentica la politica.

Mi sembra che il tema dominante di The Iron Lady sia la solitudine. La Margaret Thatcher ritratta da Phyllida Lloyd è sola nel momento dell’ascesa, sola negli undici anni e mezzo in cui ricopre la carica di primo ministro del Regno Unito, e sola con i suoi fantasmi e le sue allucinazioni nel momento del declino fisico. O, meglio, così si percepisce il personaggio. Perché questo è il punto: la regista rinuncia programmaticamente a ogni forma di oggettivazione narrativa, preferendo un racconto soggettivo, interiorizzato. In questo film tutto – passato e presente –  è filtrato attraverso la coscienza e la frammentaria memoria della protagonista, ormai anziana e malata che, come lei stessa confida, non si riconosce più…
Tale scelta strutturale ha una conseguenza importante: il film è costruito infatti per far sì che lo spettatore aderisca emotivamente ai sussulti e alle angosce del personaggio, si immedesimi in Margaret, provi simpatia per lei. Questo, come ha ben osservato Gianni Canova, vuol dire anche «azzerare qualsiasi prospettiva critica» (Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2012). Ed è un difetto grave, quando si affronta una figura pubblica che ha avuto una tale importanza storica. A questa stregua, tanto valeva scegliere un personaggio di fantasia.
Però cerchiamo di capire. In cosa ci immedesimiamo? Non tanto nella donna politica, quanto piuttosto nella donna fragile e sofferente, malata di Alzheimer, visitata dalle allucinazioni. E questo perché la fragilità è un’esperienza universale che affratella gli esseri umani, indipendentemente dal loro pensiero, dalle loro azioni, dagli ideali che posseggono o non posseggono: «Il dolore è eterno, ha una voce e non varia», scriveva Umberto Saba. Ed è in quel dolore che si rivela la verità del nostro essere.
Poi, forse ci immedesimiamo anche nella donna che si sente postera a se stessa, estranea a un presente che non capisce e da cui è infinitamente distante. La scena iniziale del latte conferisce la tonalità a tutto il racconto, e ovviamente è una tonalità in minore. Ma è soprattutto l’arredamento platealmente antiquato del modesto appartamento a enfatizzare questa distanza siderale. Persino la simbologia tecnologica (il DVD che Margaret inserisce nel lettore video) viene impiegata per allontanare il presente storico ed esprimere un inappagato desiderio di conforto negli affetti familiari, a loro volta lontani, lontanissimi, nello spazio e nel tempo.
Nelle “pagine” politiche, mi sembra invece che l’immedesimazione sia meno immediata e scontata. Certo, anche queste sequenze passano attraverso il punto di vista di Margaret: sono frammenti della sua confusa memoria. Appunto. Ma qui il ritratto è molto più sfaccettato. C’è il carattere battagliero di una donna, per giunta figlia di un droghiere, che deve vedersela con un parlamento quanto mai sessista e classista. C’è la determinazione che le consente di resuscitare l’orgoglio nazionale nella vicenda delle Falkland e di tener testa ai cugini americani che insistono per una soluzione di compromesso. Ma c’è anche l’arroganza di una leader che travolta dalla fedeltà alle proprie idee finisce coll’alienarsi la lealtà dei colleghi e compagni di partito.
Sono le parti più deboli del film. Ma non vi scorgo il rischio dell’agiografia. Semmai mi sembra ch il limite risieda nel didascalismo, nella rinuncia a proporre una coerente chiave di lettura politica. E sì che lo spunto ci sarebbe pure. E lo si intravede nelle immagini della folla che abbatte il muro di Berlino. Era il 9 novembre del 1989. La Thatcher si dimette da primo ministro esattamente un anno dopo, nel novembre del 1990. Passa un altro anno, e nel dicembre del ’91 si conclude il processo di disgregazione dell’Unione sovietica.
La Thatcher, nel bene e nel male, è stata insieme a Reagan l’ultima grande figura occidentale della guerra fredda. Poi, si è aperta un’epoca nuova. Il vecchio “nemico” comunista sarà stato pure il demonio, per usare le parole della Lady di Ferro. Ma almeno costringeva l’Occidente a un continuo sforzo creativo per convincere l’opinione pubblica che i piccoli passi della democrazia sono meglio delle grandi promesse non realizzate dei paesi del socialismo reale. Il crollo del muro di Berlino non è stato solo l’inizio della fine del blocco sovietico. È stato anche l’inizio del declino della grande politica in Occidente. Perché in assenza di un antagonista, non c’è bisogno della mediazione politica. Il capitalismo può prendere direttamente in mano le redini del governo mondiale, e dettare le sue leggi. Forse una chiave di lettura di questo genere avrebbe reso il film più compatto, avrebbe contribuito a spiegare l’operato della Thatcher quand’era in carica e la distanza abissale dal Terzo Millennio che avverte oggi che è una cittadina qualunque, come noi: lei che nella politica ci ha creduto davvero.
Ultima nota: Meryl Streep. Lo hanno già scritto tutti. Ma vale la pena di ripeterlo. Non è bravissima. Di più. È da antologia. L’Oscar sarebbe il minimo.

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