mercoledì 23 maggio 2012

Monti-Petruccioli: i limiti della democrazia

La democrazia è inadeguata ai compiti odierni in quanto “pensa esclusivamente a breve termine”. È lallarme lanciato da Mario Monti in unintervista alla CNN, che rivitalizza un antico dibattito. La risposta di Claudio Petruccioli arricchisce la discussione e permette di precisare alcune questioni di fondo

Su Qdr magazine (“settimanale di propaganda riformista” di LibertàEguale), Claudio Petruccioli ha commentato con stimolante lucidità la diagnosi dello stato della democrazia fatta dal premier Mario Monti in un’intervista alla CNN. Provo a intromettermi nella discussione per sottolineare un paio di punti, perché la questione è una di quelle che mi stanno a cuore. Il testo originario si trova qui.

1) Per prima cosa mi sembra rivelatrice la differenza di linguaggio utilizzato da Monti e da Petruccioli. Un conto infatti è ritenere che l’inadeguatezza della democrazia stia “nella democrazia” (cioè nella sua struttura, nella sostanza), un altro credere che stia nella “politica democratica” (cioè nel suo esercizio). 
Nel primo caso, la soluzione può essere solo quella aristotelica: il governo misto. Per chi la pensa così, occorre integrare gli strumenti della democrazia con gli strumenti di un altro tipo di governo in modo che i limiti dell'una e dell'altro si correggano a vicenda. Non so se è esattamente la posizione di Monti, senz’altro lo è di Berlusconi. Chi sottolinea la necessità di rafforzare i poteri dell’esecutivo reinterpreta (in modo aggiornato, s’intende) questo punto di vista. Ritiene cioè che, in cambio dell'efficacia e della rapidità di decisione, si possa rinunciare a un po' di controllo.
Se invece crediamo che i limiti stiano nella “politica democratica”, allora, fra le altre cose, occorre ripensare i soggetti della politica democratica: cioè il sistema dei partiti. Cosa non indispensabile per chi sostiene la prima tesi, perché un esecutivo forte è un esecutivo relativamente indipendente dai partiti.
Dal 1946 in poi la nostra è stata una democrazia di partiti, i quali non avevano solo una funzione aggregativa, esercitavano una ben più forte funzione di filtro tra la volontà popolare (le “urne”) e l’attività decisionale (“i politici di professione”). Per un certo periodo, nonostante tutti i suoi limiti, quella democrazia ha funzionato: i “benefici a più lungo termine” del dopoguerra sono appunto figli di quel sistema (trafori, autostrade, reti metropolitane, ecc.).
Ma, come i governi per Aristotele, anche i sistemi possono degenerare. Il sistema dei partiti del Novecento è probabilmente superato per sempre. Ma con cosa lo sostituiamo? Con un nuovo, diverso sistema dei partiti o con nuovi soggetti, estranei alla democrazia dei partiti? La domanda non è oziosa. Perché i soggetti della politica democratica possono essere più o meno vulnerabili alle sollecitazioni dei “media”, della “frequenza delle elezioni”, dei “mercati”, ecc., e più o meno propensi “a preferire soluzioni che implichino spese con ritorni a breve termine”.
2) La discussione fra Monti e Petruccioli si trascina dietro un importante problema contemporaneo. Chiamiamolo il problema dei “quanti” della politica (o meglio dello Stato). La democrazia, come lo stesso Petruccioli ha ricordato in una gran bella relazione tenuta al convegno di LibertàEuguale a Orvieto, è sempre quantitativa. Ma oggi è il momento di ridefinire i “quanti”. Per esempio, quanto la democrazia deve decidere attorno alla questione dei mercati? Quando deve regolamentare i mercati e quanto invece deve lasciare alla mano invisibile dell'economia e della società? Mi rendo conto che, formulata così, la domanda sembra accademica. Ma è la “big question” che ha condizionato il dibattito dai neocon in poi.
Oppure. Sento spesso Bersani evocare la questione del lavoro. Ma, in assenza di precisazioni ulteriori, è difficile capire - almeno per me - cosa pensi sul serio il segretario del Pd. Il sospetto è che la sua retorica tradisca una concezione dirigistica della democrazia. Lo Stato che ha in testa mi sembra uno Stato-Padre (o madre, se si preferisce). L’opposto dell’idea di Stato che emerge dalla pur reticente lettera di Montezemolo pubblicata sul “Corriere della Sera”. Per l’uno, sembra che i cittadini siano figli di cui lo Stato debba prendersi cura, per l’altro i cittadini sono adulti che lo Stato non deve soffocare. Qual è l’equilibrio giusto? Se davvero, come alcuni sostengono, è necessario oggi riscrivere il patto sociale, occorre che su tali questioni la politica risponda in modo chiaro. 
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