martedì 6 novembre 2007

Tanto rumore per nulla

Quando, dopo l’11 settembre 2001, l’amministrazione Bush varò una serie di misure antiterrorismo che limitavano le libertà individuali, espressi il mio dissenso sul settimanale per il quale allora lavoravo. Ma capivo il senso di quelle scelte. Devo confessare invece che, in questi giorni, seguendo la polemica sul diritto alla sicurezza che occupa le prime pagine dei giornali italiani, mi è difficile capire di che cosa si parli in concreto e soprattutto quali scopi si intendano perseguire. Mi sembra, quanto meno, che si sovrappongano con una certa disinvoltura tre problemi attigui ma distinti: quello dei rom, non integrabili o difficilmente integrabili; quello degli immigrati dell’est, potenzialmente integrabili; e quello della microcriminalità in generale.

Esiste un’emergenza come quella che dovette affrontare Bush? Nient’affatto. Questi sono gli ordinari problemi che uno Stato deve affrontare di volta in volta, sapendo che potrà tutt’al più ridurli ma mai risolverli una volta per sempre. A meno di voler fare come lo Stato fascista che, per dare l’impressione di aver riportato l’ordine nel Paese, pensò bene di censurare le pagine di cronaca nera dei quotidiani e di impedire che i romanzi polizieschi avessero protagonisti italiani.

Forse è vero che dalla società italiana proviene una «domanda di sicurezza». E capisco che a Fini & Co. non paia vero di poter cogliere un’occasione per rafforzare a poco prezzo il loro consenso elettorale. Ma converrebbe fermarsi a riflettere su che cosa vuol dire realmente quella domanda. Finora mi sembra che la discussione si sia concentrata tutta sugli stranieri. Vuol dire che l’opinione pubblica chiede di cacciare gli immigrati? Anche quelli della UE, come sono i rumeni? In tal caso, il governo rischia di far propria una presa di posizione mistificante. È comodo pensare che il problema della sicurezza si riduca essenzialmente al problema dell’immigrazione. Ma non è così.

Per rendersene conto, e per non scostarsi troppo dall’attualità (la violenza alle donne), basta andare a rileggersi l’indagine Istat presentata a Palazzo Chigi lo scorso 21 febbraio. Da quei dati risulta che la maggioranza degli stupri e delle violenze a danno delle donne italiane (ben il 69,7%) deriva da partner o ex-partner. I fatti di Tor di Quinto rappresentano l’eccezione, non la regola. Per punire reati di tale genere abbiamo già le leggi. Non si capisce perché non debbano bastare le consuete vie giudiziarie che, in uno Stato liberal-democratico, reprimono a posteriori il responsabile del delitto, senza invocare una preventiva nemesi etnica, che il diritto contemporaneo non può ammettere. «Giustizia senza vendetta» o vuol dire questo o non vuol dire niente.

Semmai i dati Istat suggeriscono di ripensare il ruolo della famiglia o, almeno, di rimettere in discussione la falsa immagine, salvifica e aproblematica, che ne viene data. Forse è chiedere troppo. Ma se questo non lo fa la sinistra, chi altri lo può fare? D’altra parte, varrebbe la pena di chiedersi se è proprio vero che le minacce alla sicurezza hanno raggiunto, rispetto al passato, livelli insostenibili che oltrepassano il grado fisiologico di criminalità in uno Stato democratico. Se la risposta è positiva (cosa che io non credo), allora attribuire una maggiore licenza d’azione ai prefetti sarebbe il minimo.

Vogliamo dirlo? I diritti sono in conflitto fra loro: dare la priorità a uno vuol dire ridimensionarne un altro e viceversa. Si può difendere seriamente il diritto alla sicurezza solo limitando le libertà individuali, a cominciare dal diritto alla privacy. Così è avvenuto nell’America di Bush, così è avvenuto nell’Italia degli anni di piombo, quando esisteva una reale emergenza. Coloro che chiedono più sicurezza sarebbero disposti a rinunciare a una parte della loro libertà o pretendono che la magistratura indaghi solo sugli altri: gli alieni, i mostri, gli stranieri, i disgraziati, i poveri cristi? Naturalmente, né il governo di centrosinistra né l’opposizione di destra pretendono di arrivare a tal punto.

La nostra odierna classe politica non vuole scontentare nessuno: strizza l’occhio a quelli che chiedono il polso di ferro e, insieme, a quelli che reclamano maggiori libertà e più tolleranza. E non sceglie, non decide: cavalca l’emozione del momento. La destra non fa eccezione. Quando era al governo, si è dimostrata più severa verso l’immigrazione extracomunitaria, perché sensibile ai voti popolari dei quartieri periferici che la sinistra, ormai attenta solo ai ceti medi, ha abbandonato al proprio destino, ma ha messo i bastoni fra le ruote ai giudici, per venire incontro alle necessità della nicchia più spregiudicata del capitalismo italiano, ma di fatto ostacolando l’intero corso giudiziario. Per questo, ho il sospetto che si faccia tanto rumore per nulla.

Ma, personalmente, non sarei nemmeno sicuro che più integrazione, più lavoro e più giustizia sociale (i sacrosanti scopi tradizionali della sinistra illuminista) vogliano dire più coesione e quindi minori tensioni civili. La storia, purtroppo, non dà ragione all’illuminismo. Democrazia e libertà avvantaggiano l’onesto quanto il disonesto. L’unico strumento che abbiamo, per quanto debole, è il governo della legge. Non certo quello della demagogia.

4 commenti:

greystoke ha detto...

Caro Beppe, sono d'accordo quasi su tutto, ma lasciami dissentire o almeno fare qualche precisazione su un punto che mi sta parecchio a cuore.

Tu dici: "Semmai i dati Istat suggeriscono di ripensare il ruolo della famiglia o, almeno, di rimettere in discussione la falsa immagine, salvifica e aproblematica, che ne viene data."

In un mondo in cui le relazioni autentiche tra le persone e la capacità di accogliere l'altro sembrano pericolosamente in crisi, la famiglia è una risorsa unica e fondamentale. Perché è quasi l'unico ambito rimasto in cui si può ancora imparare ciò che si deve poter apprendere da piccoli: amare ed essere amati.

La famiglia purtroppo è rimasta quasi sola a difendere una modalità di convivenza che non è basta sugli interessi. E questo perché il materialismo moderno è pervasivo, trasversale ad ogni fazione politica.

D'altro canto vedere il mondo diversamente ci fa squalificare come dei mistici. E bisogna avere il coraggio di Pasolini per dire: "sì, sono un misitico - adesso sono io che ti ricatto!"

E così ci vorrebbe un po' di quel coraggio, non per essere dei mistici, ma almeno per difendere la famiglia oggi. Per non mettere in discussione un ruolo che ha da quando esiste l'uomo.

Per sostenere le buone ragioni di quel ruolo, ragioni su cui si fonda la convivenza pacifica e civile degli uomini, che non sono spontaneamente dei mistici, e che le mode new age non trasformeranno in monaci dall'oggi al domani.

Per non attaccarne (slealmente) "una falsa immagine, salvifica e aproblematica" che esiste solo nella mentalità dell'intellettuale libertario. Per non dimenticare ciò che essa è nel concreto e di quanto poco nel nostro paese si faccia ripetto al resto d'Europa per aiutarla anche materialmente.

Per non lasciare anche questo fronte della disperata difesa della qualità delle relazioni umane, alla Chiesa o a Beppe Grillo.

Ma chiedere questo coraggio alla sinistra, questo sì, è davvero troppo. E parlo degli intellettuali, ovviamente, non dei politici, dei quali non ho nessuna speranza.

greystoke

Giuseppe Gallo ha detto...

Mi rendo conto che a volte i miei appunti possono apparire imprecisi o tranchant. E' il limite degli appunti. Ma dicendo che è opportuno mettere in discussione la famiglia non intendevo dire che bisogna distruggerla o negarle ogni funzione sociale. Sarebbe sciocco. Volevo dire che è utile portare l'attenzione su alcuni problemi e cercare di capirli.

Per limitarci al tema, i dati Istat ci avvertono che non solo la famiglia non è impermeabile alla violenza ma anche che la maggior parte delle violenze a danno delle donne avvengono al suo interno. Secondo me, è bene chiedersi perché. Se è vero, come sosteneva Aristotele, che la famiglia è il nucleo originario della socializzazione, questo fatto non lo possiamo ignorare.

L'immagine aproblematica a cui alludevo è quella che promuovono Casini e i suoi amici. Quella è falsa coscienza. Credo che siamo d'accordo su questo.

C'è poi il problema di fondo: il ruolo. Cioè: dove sta andando la famiglia? Quali compiti è in grado di assumersi, in una società che tende di fatto a schiacciarla? Quanto incide ancora sull'educazione dei figli, in un universo dominato dai media? Eccetera. Questi sono temi enormi e difficili, ma anche fondamentali. Secondo me è, un nostro dovere confrontarci su di essi, ricordandoci che la famiglia non è una realtà uniforme e organica: è un "contenitore" che comprende tantissime cose. Non solo l'amore, ma anche la routine, per esempio.

greystoke ha detto...

Certo, siamo d'accordo su Casini, ovviamente. Circa i dati Istat, sono un chiaro segnale di sofferenza, l'indice di un disagio sociale.

Non ho dubbi invece sul ruolo della famiglia. Anche in questo credo si debba essere tradizionalisti (e Pasolini ci insegna a non vergognarcene); e mi sta bene la definizione di Aristotele. Mentre l'immagine della famiglia "contenitore" non mi convince: la routine appartiene alla vita nei suoi vari momenti, in famiglia come al lavoro.

Semmai è proprio in quel non riconoscere più la famiglia per ciò che è, nel sottrarsi ai ruoli che necessariamente ci spettano, come padre o come figlio, è in questo che si mette in crisi la famiglia.

E' nel delegare ai media e alla scuola il compito di educare, per pigrizia, indolenza, senza lottare. Ma questo è un discorso che va in profondità, va a toccare la qualità delle relazioni umane.

Vale comunque, che si tratti del rapporto tra padre e figlio, marito e moglie, italiano e straniero, datore di lavoro e lavoratore, me e l'altro da me.

Alla sinistra dovrebbe appartenere come valore fondamentale la qualità delle relazioni umane, che significa l'autenticità, la lealtà, la solidarietà, il rispetto dei diritti, l'attenzione ai bisogni.

Si deve partire da lì, nel pensare l'accoglienza ai Rom, la legge 30, la riforma della scuola, e tutto il resto.

Giuseppe Gallo ha detto...

Appunto. E' su questi temi che mi piacerebbe che fosse aperta la discussione, non solo attraverso i libri (come già avviene), ma anche di fronte alla collettività. Se i media contrastano la famiglia sul suo terreno (il legame fra una tradizione e l'altra mediante la trasmissione del sapere, anzitutto pratico e morale), la famiglia quali strumenti ha per rispondere?

Perché dico routine? Perché dalle origini (ben più antiche della Chiesa cattolica, che si è lecitamente appropriata della famiglia come valore, ma non l'ha creata), la famiglia è stata il principale mezzo con cui gli uomini hanno organizzato la vita quotidiana, scandita un tempo dai ritmi della natura oggi da quelli degli impegni sociali (il lavoro, la scuola, le bollette...). E' questo che voleva dire Aristotele: nella famiglia, gli affetti, l'amore, il piacere sono chiamati a confrontarsi con la realtà concreta e quindi con una continuità. La famiglia chiede ai suoi membri di assumersi degli impegni, non si accontenta dei soli sentimenti (da cui oggi non può prescindere).

Perché "contenitore" (fra virgolette)? Perché la qualità delle relazioni umani all'interno della famiglia dipende da quanto i suoi membri sono disposti o capaci di mettere in gioco. La famiglia non si autoalimenta, ha bisogno che noi la riformiamo continuamente di carburante. Altrimenti entra in crisi, scoppia.

Ecco, secondo me, questi temi è meglio approfondirli in modo spregiudicato.

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