Il nostro sguardo non è mai vergine: anzi, gli studiosi della percezione ci hanno insegnato che esso è sempre condizionato da un insieme di fattori psichici o culturali. Tanto meno è vergine uno sguardo estremamente complesso come quello artistico: vediamo ciò che abbiamo appreso a vedere e come abbiamo appreso a vedere. Oltre che animali sociali (o, meglio, proprio in quanto animali sociali), siamo anche animali gravidi di storia, abituati a valutare il nuovo in base al vecchio, il presente in base al passato di cui abbiamo esperienza.
In un’ipotetica storia della percezione estetica, un ruolo di primo piano nell’orientare la vista degli appassionati d’arte lo ha assolto per lungo tempo la biografia artistica. Alla metamorfosi di questo importante quanto ibrido genere letterario è dedicato il bel volume Art as Existence. The Artist’s Monograph and Its Project di Gabriele Guercio.
Lo studioso indaga in modo persuasivo le traiettorie «formali e concettuali» della biografia artistica dalle sue origini cinquecentesche (fissate dalle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani di Giorgio Vasari) al suo apogeo nell’Ottocento fino al declino novecentesco. E lo fa adottando una pluralità di strumenti critici che trovano la loro sintesi in un approccio che potremmo definire genetico-generazionale: una volta identificate le caratteristiche fondamentali dell’archetipo rappresentato dal trattato di Vasari, ne vengono indagate le successive variazioni e articolazioni.
L’approccio è fertile, perché è vero che la biografia è un genere quanto mai aperto, che può assumere peculiarità differenti: mirare a una ricostruzione scrupolosa e puntuale o avventurarsi nelle interpretazioni poetico-romanzeche, privilegiare la dimensione storico-artistica o indulgere nelle ipotesi psicologiche, enfatizzare gli apporti derivativi (dai capolavori dell’età classica, dagli insegnamenti appresi a bottega, dalle opere dei contemporanei) o esaltare l’individualità irriducibile... Ma è pur vero che la biografia conserva pur sempre un suo nocciolo stabile e imprescindibile, senza il quale essa diventa qualcosa di sostanzialmente altro (monografia critica, storia dell’arte, storia delle forme e del linguaggio artistico, ecc.).
Per quanto tautologico possa sembrare, la biografia artistica rimane infatti storia della vita di un uomo, meritevole di essere ricostruita e raccontata in virtù di quello che costui ha fatto e ci ha lasciato. Guercio dice bene quando afferma che c’è un «progetto nascosto» dietro il genere biografico, ed è l’impulso a trasformare la vita in arte e l’arte in vita. Potremmo anche aggiungere che la biografia, oltre a presentarsi essenzialmente come “prologo” all’arte (come si potrebbe dire parafrasando Borges), e cioè come strumento per facilitare l’approccio dei lettori alle immagini studiate, assolve tradizionalmente anche un compito esemplificativo: propone alla comunità culturale (usiamo questa espressione con significato quasi analogo a quello abituale di comunità scientifica) un modello esemplare da eguagliare per le qualità artistiche che lo elevano al rango dell’eccellenza (ricordiamolo: Vasari non ci racconta la vita di «architetti, pittori, et scultori» qualunque, ma solo, appunto, de’ più eccellenti). Precisiamo anche che per la tradizione classicistica eguagliare non significa imitare pedissequamente bensì elevarsi al rango del modello.
La questione è fondamentale, perché la storia della biografia artistica coincide con la storia del classicismo letterario (con il quale pure, sul piano del linguaggio, ha avuto spesso rapporti contrastati), e con il tentativo di accreditare una diversa immagine di umanità che riscatti le qualità tecniche del fare: un valore greco prima che protestante (la poiesis è appunto fare in senso tecnico). Ma soprattutto va osservato che prima del Cinquecento a prevalere erano stati due sottogeneri della biografia: quello che racconta le imprese memorabili degli uomini politici o dei grandi condottieri, e quella che racconta i miracoli o il sacrificio degli uomini di religione.
La biografia artistica introduce un nuovo soggetto di narrazione, appunto la vita dell’artista (pittore, scultore, architetto), e una nuova concezione di eccellenza, conseguibile all’interno dei normali confini della quotidianità prosastica, già culturalmente borghese. E ciò aiuta a spiegare non solo la modernità di questo genere ma anche il duraturo successo di cui esso ha goduto fin da subito. Rispetto ai precedenti politico-militari e religiosi la biografia conserva tuttavia un fattore di profonda consonanza: e cioè la metafisica che la sorregge e che giustifica la ricerca ricostruttiva. Si può infatti scrivere una biografia solo se si ha la certezza di poter ricostruire il senso del destino di un uomo: e cioè rimettere ordine nel magma dell’esistenza individuale riconoscendovi a posteriori una direzione, una vocazione.
La storia della biografia (e a maggior ragione del suo declino) coincide anche con la storia della messa in discussione di questa metafisica, drasticamente revocata in dubbio nell’Otto-Novecento: per la tendenza fondamentale del nostro tempo, difatti, nessun destino è concepibile, perché il destino sarebbe d’ostacolo al divenire (e quindi alla libertà assoluta degli uomini), che è alla base della nostra visione dell’esistenza (cioè del contemporaneo credo).
Gabriele Guercio
Art as Existence.
The Artist’s Monograph and Its Project
MIT Press
pp. 378, € 52,80
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