di Susanna Janina Baumgartner
Per sconfiggere il perturbante presentimento di morte e la paura della morte, l’uomo è arrivato a creare scientificamente un suo “doppio”. La clonazione, come dice Jean Baudrillard in L’illusione dell’immortalità, rappresenta una via per passare al di là della morte, una «immortalità artificiale», e il problema della clonazione riguarda direttamente la dolorosa questione dell’immortalità. Sogniamo di superare la morte attraverso l’immortalità, e per essere immortali dobbiamo ritornare a uno stadio precedente l’apparizione dell’individualità e della differenziazione sessuale. La pulsione di morte, secondo Freud, è precisamente questa nostalgia per uno stadio precedente l’apparizione dell’individualità e della differenziazione sessuale. Abbiamo ritrovato l’immortalità degli esseri protozoici.
Possiamo anche vedere nella clonazione, la rinascita della nostra seduzione per mezzo di una forma arcaica di incesto con il gemello originario e la conseguente forma psicotica che tale fantasia primitiva comporta (il film Inseparabili di David Cronenberg illustra drammaticamente tale concetto).
La maggior parte del tempo questa gemellanza rimane oscura e simbolica, ma se viene resa cosciente, materializzata, illumina il mistero della separazione simbolica, della divisione invisibile che si trova in fondo all’anima di ciascuno. In qualche luogo della nostra interiorità, nel profondo del nostro inconscio, noi non accettiamo mai pienamente tale separazione e individuazione; oppure abbiamo paura e nello stesso tempo nostalgia di questo doppio che è nostalgia per uno stadio del tempo passato.
Se scoprissimo che non tutto può essere clonato, simulato, programmato, selezionato geneticamente e neurologicamente, allora ciò che sopravvivrebbe potrebbe veramente essere chiamato “umano” e potremmo finalmente identificare le vere inalienabili qualità umane. Resta comunque il rischio, in questa avventura sperimentale, che l’essere umano sia cancellato o bisognerebbe ridefinire completamente cosa sia la specie umana attraversando un limite oltre il quale non saremo più in grado di riconoscere né l’umano né l’inumano. E se l’umano non farà posto al super-umano, all’oltre-umano prospettato da Nietzsche, si aprirà invece la strada al sub-umano, quindi a qualcosa che è sotto la dimensione dell’umano e che cancellerebbe i tratti simbolici che sono costitutivi della specie.
È possibile parlare dell’anima o della coscienza o dell’inconscio secondo il punto di vista dei cloni, degli automi e delle chimere?
«La prima notizia della Chimera si ha nel libro VI dell’Iliade. Questo dice che era di lignaggio divino e che davanti era leone, in mezzo capra, e in fine serpente… Piuttosto che faticare a immaginarsela, era meglio tradurla in qualsiasi altra cosa…» (Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero, La Chimera, Manuale di zoologia fantastica).
Sia l’individuo che i fondamenti della specie sono messi in discussione dallo spostamento dei limiti dell’umano nella simulazione genetica della vita. Le culture non occidentali non operano una discriminazione tra ciò che è umano e ciò che non lo è. Noi abbiamo inventato la distinzione che ora stiamo per cancellare, senza avere una cultura in grado di sostenere questa cancellazione e solo la cultura continuerà a differenziarci. La salvezza dipende dalle nostre acquisizioni e da una cultura viva in grado di preservarci dall’inferno dell’identico. La cultura stessa diventa clonazione mentale, attraverso gli stili di vita e attraverso le idee, sotto il segno del pensiero unico, anticipando la clonazione biologica.
La possibilità della clonazione ci permette di revisionare criticamente gli elementi fondamentali della nostra etica millenaria e di pensare a ogni genere di problema o dubbio, ancora impensabile o quasi, possa essere creato dalle nostre recenti possibilità di riproduzione.
Tutte le storie riguardanti il doppio descrivono un conflitto e quindi un conflitto è inevitabile. Per essere all’altezza di questo stato paradossale delle cose, abbiamo bisogno di un modo paradossale di pensare e, considerando che il mondo sta scivolando nel delirio, dobbiamo adottare un punto di vista delirante. La cosa più difficile è rinunciare alla verità e alla possibilità di verifica e rimanere il più a lungo possibile nel lato enigmatico, ambivalente del pensiero.
La verità non offre più una soluzione. Ma forse possiamo aspirare a una soluzione poetica del mondo. Noi non siamo mai propriamente presenti a noi stessi o agli altri e quindi non siamo esattamente reali uno per l’altro, né lo siamo abbastanza per noi stessi; questa radicale alterità è la nostra più grande fortuna, è la nostra possibilità di vita.
Questo concetto di illusione radicale presenta analogie con la cosmologia. La luce delle stelle viene da noi percepita quando la stella è già scomparsa e questa mancanza di simultaneità è una parte ineliminabile dell’illusione del mondo, quell’assenza nel cuore del mondo che costituisce l’illusione. L’illusione è la legge generale dell’universo, l’illusione è un gioco, e la realtà è solo un’eccezione. Se lo stesso fosse identico allo stesso, saremmo di fronte a una realtà assoluta, sinonimo di morte.
«Cerchiamo di essere più chiari», osserva Baudrillard, «se la Realtà sta scomparendo, non è perché essa manca – al contrario, ce n’è troppa. È l’eccesso di realtà che mette fine alla realtà, proprio come l’eccesso di informazione, o l’eccesso di comunicazione mette fine alla comunicazione.»
Se tutto è già calcolato, verificato e realizzato in anticipo cosa dobbiamo fare? Da potenziali poeti, dobbiamo salvare le tracce del mistero e dell’illusorio, contro il tentativo di costruire un mondo completamente positivo, razionale e vero; salvare la dimensione simbolica del linguaggio.
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