La politica in Italia torna a farsi interessante. Le indiscrezioni dei giorni scorsi avevano lasciato intendere che il Cavaliere si preparava a una contromossa che, anche a destra, avrebbe modificato l’offerta elettorale. Ora, finalmente, abbiamo la notizia: FI e AN si presenteranno agli elettori con un’unica lista, rinunciando ai propri simboli e impegnandosi a dar vita a un solo gruppo parlamentare.
Certo, si tratta di una fusione a freddo, compiuta in modo verticistico e con molte contraddizioni. Ma non la liquiderei come un’operazione di «maquillage», priva di sostanza. Anche da sinistra (è questo il fronte in cui mi colloco), la decisione presa da Berlusconi e da Fini va osservata con interesse, se non altro perché i due leader si sono spinti troppo avanti per potersi rimangiare la parola a urne chiuse.
D’altra parte, l’accordo raggiunto argina, per ovvie ragioni numeriche, l’influenza tellurica della Lega, e di fatto isola l’UDC, anche qualora il partito di Casini riuscisse a siglare un’improbabile intesa dell’ultima ora. Insomma, la strada verso una semplificazione del sistema politico sembra ormai imboccata in maniera irreversibile. E di questo non possiamo che rallegrarci. Perché è impossibile affrontare le sfide di uno scenario internazionale sempre più complesso se prima non viene garantita la governabilità, e cioè la formazione di un esecutivo coerente e abbastanza omogeneo.
Piuttosto è da osservare che rimangono aperti alcuni inquietanti interrogativi.
1) Anzitutto, dalle elezioni del 13 e 14 aprile uscirà la medesima maggioranza al Senato e alla Camera o avremo due vincenti? Nel primo caso, la maggioranza avrà un numero di seggi sufficiente per guidare il Paese con una certa serenità? Nel secondo caso, è verosimile una soluzione alla tedesca che dia vita a un governo trasversale non troppo allargato? Difficile dirlo. Se l’asse del centrosinistra si è spostato un po’ più al centro, quello del centrodestra si è spostato un po’ più a destra, e questo rischia di rendere problematico il dialogo.
2) È noto che, con il “porcellum”, non occorre che una forza politica ottenga il 51% dei consensi per avere la maggioranza in parlamento, basta che abbia un voto in più rispetto agli avversari. Nelle elezioni del 2006 le liste contrapposte, anche se affollate di sigle, erano solo due, e il problema non si poneva. Ma, in quelle del prossimo aprile, le forze concorrenti potrebbero essere quattro: Partito Democratico, Popolo delle Libertà, Cosa Rossa, centro cattolico. In tali condizioni, cosa succede se una forza dovesse vincere con un consenso relativamente modesto (poniamo del 35-40% dei voti)? Potrebbe avere ugualmente la maggioranza in entrambi i rami del parlamento. Ma le sarebbe riconosciuta l’autorità “morale” per governare o dovrebbe ripetutamente rispondere all’accusa di non rappresentare adeguatamente il Paese?
3) Che cosa accadrà ai perdenti? Partito Democratico e Partito delle Libertà hanno le spalle abbastanza robuste per reggere a una sconfitta o, in tal caso, sono destinati a sfasciarsi? Questa eventualità deve preoccuparci, perché è possibile avviare una stagione delle riforme solo se in Parlamento avremo condizioni di stabilità tanto fra i banchi della maggioranza quanto fra quelli dell’opposizione.
4) Infine, che cosa ne sarà dell’eredità democristiana? Chiunque abbia a cuore le sorti del bipolarismo dovrebbe augurarsi che l’elettorato cancelli ogni anacronistico tentativo di tenere in vita un centro che, con i suoi ricatti, mira a conservare un peso politico superiore al suo reale peso elettorale. Ma se così non avvenisse? Se l’elettorato non dovesse fidarsi dell’offerta politica dei due nuovi poli (PD e PdL) e facesse convergere una parte consistente di voti in quel che resta della Balena bianca? Dovremo rassegnarci a un Paese ingovernabile e tornare a sognare che l’UE risolva i problemi al posto nostro, trasferendo a Bruxelles e a Strasburgo sempre più competenze un tempo appannaggio dei governi nazionali?
Per parafrasare un famoso pamphlet del marchese de Sade: italiani, ancora uno sforzo...
sabato 9 febbraio 2008
Elezioni: italiani, ancora uno sforzo,
se volete essere moderni
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4 commenti:
Secondo me, le liste alla fine saranno più di quattro. E' già sicuro che la destra di Storace correrà da sola. Forse presenteranno una loro lista anche radicali e socialisti. Aspirano tutti ai loro cinque minuti di gloria (per non dire di peggio).
Avremo mai un bipolarismo vero? La concomitanza delle elezioni negli Stati Uniti rende ancora più anacronistiche le liti parrocchiali dell'Italietta. Ma qualcuno se ne accorgerà mai?
Andrea T.
Capisco prendere le distanze da Bertinotti e da Diliberto. Ma se il partito democratico non si allea almeno con i radicali, l'Italia dei valori e i socialisti non ce la farà mai. Sono partiti piccoli, ma ci siamo dimenticati le elezioni del 2006? Basta una manciata di voti per vincere o perdere le elezioni.
Saverio
Caro Saverio, la situazione è ancora molto fluida. Proprio pochi minuti fa un lancio di agenzia ha annunciato che PD e Italia dei Valori hanno trovato un accordo tecnico. Cercheremo di capire meglio. Certo, Veltroni deve salvaguardare la scelta strategica del suo partito, che si candida a essere l’unico interprete del centrosinistra. Di questo dobbiamo tenere conto.
Ad Andrea risponderei che mi sembra che i due partiti maggiori abbiano compreso la necessità di coordinare gli sforzi per semplificare il sistema politico. Non perché siano più illuminati degli altri, bensì perché un sistema semplificato va a loro beneficio. Almeno sotto questo aspetto, gli interessi di PD e PdL coincidono, a mio modo di vedere, con quelli degli italiani. Perciò, sarei moderatamente fiducioso.
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