mercoledì 13 agosto 2008

Batman, eroe pentito

Diciamolo subito, per fugare ogni equivoco: Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan è un film tanto maestoso per quel che riguarda la fotografia e i movimenti della cinepresa quanto farraginoso dal punto di vista narrativo. Ciò non significa tuttavia che sia sprovvisto di motivi di interesse critico. Anzi. Per prima cosa, è opportuno sottolineare che si tratta di qualcosa di più di un puro e semplice sequel (una ripresa a posteriori di una pellicola di successo volta a sfruttarne i fasti commerciali). Piuttosto, Il cavaliere oscuro si presenta come secondo capitolo di una saga concepita fin dall’inizio in forma unitaria, con uno sviluppo coerente e consequenziale (anche gli attori sono gli stessi). E ciò non tanto perché il seguito era già annunciato dall’ultima scena di Batman Begins, bensì perché il regista aveva conferito all’intera orchestrazione del primo film un ampio respiro che non si esauriva nell’iniziazione del protagonista e, anzi, rendeva necessaria una nuova puntata che completasse il resoconto del suo destino, rimasto in sospeso.

Visti uno dietro l’altro (com’è consigliabile), i due film raccontano la parabola del processo di autocoscienza di Bruce Wayne: dalla presa d’atto di essere chiamato a una missione (combattere il crimine), che esige il superamento di se stesso e la trasformazione in Batman, alla percezione che tale missione non basta più e che Gotham City ha bisogno di un differente eroe, pronto ad agire allo scoperto nel rispetto della legge. Certo, come è consuetudine del racconto seriale, anche la fine di Il cavaliere oscuro lascia aperta l’eventualità di una successiva puntata. Ma, perché sia credibile, sarebbe necessario introdurre una nuova parabola narrativa: cioè raccontare una storia completamente diversa. Il racconto, questa volta, è concluso.

Naturalmente, l’evoluzione del protagonista condiziona in maniera determinante le scelte di strutturazione narrativa, e proprio la differenza strutturale delle due pellicole è l’aspetto che salta maggiormente all’occhio. In Batman Begins, Nolan indulge ben più di quanto avvenga nella versione fumettistica sul dramma familiare di Wayne, che è all’origine della nascita di Batman, e sulle inquietudini interiori che ne accompagnano l’iniziazione. Gran parte della vicenda, in effetti, è consacrata alla lotta che Wayne ingaggia con se stesso e con le proprie paure, prima che con l’antagonista. Non a caso la maschera di Batman fa la sua prima apparizione in scena solo dopo una quarantina di minuti. Forse in Batman Begins il regista addirittura eccede nella preoccupazione di fornire una giustificazione psicologico-morale alla scelta dell’illegalità compiuta dal personaggio. Ma il film possiede un’indubbia compattezza, e gli schemi del racconto d’avventura si fondono bene con quelli del dramma interiore in un ritmo accortamente pausato secondo i modi più congeniali a Nolan, come conferma la sua pellicola più riuscita, Memento.

Sta di fatto che, espletate le esigenze di giustificazione preliminare nella precedente puntata, in Il cavaliere oscuro Nolan può concentrarsi liberamente sull’intrigo avventuroso, conferendo alla vicenda un ritmo più vivace e, addirittura, indemoniato. Fin dalla prima scena, l’azione qui ha decisamente il sopravvento sullo scavo psicologico. Il prezzo però è alto: la figura di Wayne/Batman perde, infatti, in complessità e, soprattutto, perde gran parte di quel carattere ambiguo che costituisce la cifra distintiva del fumetto ideato da Bob Kane e Bill Finger.

Il Batman originario è una figura inquietante, non solo perché, come molti eroi del noir, combatte i criminali usando i loro stessi mezzi (e cioè agendo nell’illegalità), ma anche perché si porta dietro tutti gli elementi notturni dell’archetipo del doppio. In conformità con la maschera adottata, è un’ombra che si muove con agilità nell’aria (piomba giù dai tetti dei babelici grattacieli di Gotham) ma, con la stessa disinvoltura, penetra nei meandri sotterranei, si nasconde nelle grotte degli inferi (fra i molti eroi mascherati, nessuno conserva più di lui il ricordo dell’origine funeraria della maschera). Ed è noto che, se bisogna affondare nelle tenebre per rinascere (è il tema di Batman Begins), nondimeno non si ha mai la certezza di uscirne incontaminati, neppure quando si è capaci di spiccare il volo.

In Il Cavaliere oscuro, al contrario, Batman è un eroe fin troppo coscienzioso e positivo, quasi che non riesca a emanciparsi dal controllo morale di Wayne (siamo agli antipodi del mito del dottor Jeckyll e di mister Hyde). A dispetto del titolo, parrebbe insomma che il regista abbia voluto riscattare il personaggio dal buio della notte e dal suo stesso superomismo, accordandogli un carattere più umano, da americano medio (e ciò anche se, dal punto di vista sociale, Wayne apparterrebbe in realtà all’alta borghesia industriale). Di qui, per esempio, la curiosa insistenza sulla gelosia affettiva, che altrimenti risulterebbe ingiustificabile per le caratteristiche del mito.

Date queste premesse, è comprensibile che Wayne/Batman abbandoni i panni del giustiziere solitario per agire di concerto con le forze di polizia, sostenuto da un solido tessuto di rapporti umani. Questa scelta compositiva rappresenta certamente un fattore di originalità. Nello stesso tempo, però, riduce la libertà d’azione del personaggio, che si trova imbrigliato nelle tante relazioni aperte. E, naturalmente, vanifica uno degli elementi narrativi più fecondi del racconto originario: appunto, la tensione fra l’eroe e i funzionari deputati alla sicurezza pubblica. Solo nel finale questo tema riaffiora, per effetto di una decisione dello stesso Batman, in modi a dir poco artificiosi (sembra quasi che Nolan si sia accorto di aver perso per strada uno dei temi archetipici e che abbia voluto incollarlo a forza). Più in generale, l’impressione è che l’ossessione a fare del personaggio un uomo perbene finisca con lo svuotare il mito, anziché arricchirlo.

In compenso, con il procedere della vicenda acquista spessore la figura del Joker, molto ben interpretato da Heath Ledger (precocemente scomparso lo scorso gennaio all’età di ventotto anni) che, a nostro avviso, non sfigura affatto nel confronto con un gigante come Jack Nicholson, che diede il volto allo stesso personaggio nel Batman di Tim Burton. D’altra parte, proprio il Joker è il motore della vicenda e, fin dall’inizio, si impone come l’autentico eroe del film, ben più dell’uomo-pipistrello.

In effetti, mentre quest’ultimo si limita a reagire in maniera tutto sommato prevedibile utilizzando i mezzi che gli sono consueti, il primo è una miniera inesauribile di trovate fantasiose, che spiazzano tanto gli antagonisti quanto lo spettatore. Proprio questa sua fantasia reclama il riconoscimento di una “superiorità” morale e intellettuale: in definitiva, il Batman del Cavaliere oscuro ricava la propria forza esclusivamente dalla tecnologia, il Joker dalla propria arguzia, sia pure assassina. Qui, sta il vero motivo di interesse del film che, se narrativamente appare meno compiuto di Batman Begins, sul piano dei contenuti risulta ben più conturbante e ardito in quanto ci invita a parteggiare per il cattivo o, almeno, a simpatizzare con lui.

Naturalmente, il codice narrativo condanna il personaggio alla sconfitta. Ma si tratta di una sconfitta apparente. In realtà, il Joker ottiene tutto ciò che vuole, e solo per mezzo della menzogna Wayne/Batman e i suoi amici possono rassicurare la comunità di Gotham, contravvenendo ai principi di trasparenza democratica proclamati in precedenza. (Ci si perdonerà se non possiamo essere più precisi, ma non vogliamo guastare la sorpresa a chi ancora non abbia visto il film.)

Ma, soprattutto, è la beffarda sentenziosità apodittica a fare la grandezza di questo personaggio, che con il procedere del film dimostra una consapevolezza “metafisica” che lo distingue dai tanti geni del male che popolano le saghe dei supereroi, i racconti criminali e le spy story. Il Joker non perpetra il male per ricavarne qualche profitto in termini economici o di potere. E tanto meno prova un sadico piacere nel compiere i suoi atti scellerati. No, egli è piuttosto un superbo e tragico eroe nichilista, che combatte per una sua idea del mondo, aspirando a spalancarci gli occhi sull’assurdità dell’esistenza e sugli abissi della vita consociata. Il suo parente più prossimo, fatte le debite proporzioni, è il Caligola di Albert Camus.


Il cavaliere oscuro
regia di Christopher Nolan

cast Christian Bale (Bruce Wayne/Barman) ● Heath Ledger (Joker) ● Michael Caine (Alfred Pennyworth) ● Gary Oldman (James Gordon) ● Aaron Eckhart (Harvey Dent/Due Facce) ● Maggie Gyllenhaal (Rachel Dawes) ● Morgan Freeman (Lucius Fox)

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