Vittorio Spinazzola. Attualità di Gramsci (1992)

LUnità 21 aprile 1992
 di Giuseppe Gallo

La fatica e l’utilità di leggere

I prodotti letterari non possono venire adeguatamente compresi se non collocandosi dalla parte del lettore, e cioè cercando di capire a quali attese rispondono e quali bisogni soddisfano. Da questa premessa prende avvio la ricerca critica di Vittorio Spinazzola, di cui gli Editori Riuniti pubblicano ora Critica della lettura (pagg. 171, lire 23.000). Se è vero che ogni testo viene scritto perché qualcuno lo legga, è giusto infatti concepire il sistema letterario in termini relazionali, come un sistema cioè regolato da un rapporto di scambio fra i due suoi attori principali, il lettore e lo scrittore. In tale ottica, appare chiara l’importanza di interrogarsi sull’efficacia delle singole opere, allo scopo di spiegare perché alcune si dimostrino capaci di appagare gli interessi del pubblico più delle altre di indole simile con cui si trovano in concorrenza.
Questa impostazione metodologica ha permesso a Spinazzola di rileggere con occhi nuovi i classici della modernità letteraria, a cominciare dai Promessi sposi a cui è dedicato il suo saggio più impegnativo, Il libro per tutti, appena ristampato dagli Editori Riuniti. D’altro canto, alla pratica esegetica, Spinazzola ha affiancato una intensa attività teorica, svolta in gran parte sulle pagine della rivista da lui diretta per più di un decennio, intitolata emblematicamente Pubblico. In questo indirizzo di studi si inseriscono appunto i saggi raccolti in Critica della lettura.
Ci troviamo di fronte a un’indagine critica di grande attualità. L’importanza della riflessione di Spinazzola sta nell’avere messo in risalto la natura estetica delle motivazioni che soggiacciono a ogni atto di lettura letteraria, indipendentemente dal grado più o meno elevato di competenza tecnica di chi lo compie. L’interpretazione poggia su premesse che rinviano a una concezione economicistica della psiche. Per Spinazzola, chiunque si accinga a leggere un libro lo fa aspettandosi di ricavarne una qualche utilità. Per quanto vari possano essere i motivi che spingono a scegliere un titolo piuttosto che un altro, essi si fondano comunque sull’esigenza di colmare una lacuna, di compensare con l’esperienza mentale la nostra esperienza pratica di vita.

Leggere però costa fatica. Se non sempre implica un esborso di denaro (un libro posso averlo ottenuto in prestito o può essermi stato regalato), in ogni caso richiede dispendio di energie e di tempo. Di qui, la necessità per il lettore di stendere a lettura ultimata una sorta di bilancio, confrontando costi e ricavi. Il saldo permette di stabilire quanto è stata proficua l’esperienza compiuta, e quindi di attribuire un segno di valore o disvalore al libro in causa, a seconda che esso abbia o no corrisposto alle attese.

Naturalmente, il processo valutativo può svolgersi a livelli molto diversi, dal più ingenuo al più esperto. Ma quel che conta osservare è che non vi sono differenze sostanziali fra la lettura di chi è linguisticamente preparato e quella di chi lo è in misura minima: entrambe si concludono con un giudizio di valore. D’altra parte, il criticismo inerente a ogni atto di lettura non può che saldarsi con una disponibilità di apertura agli stimoli provenienti dal testo. Pena l’impossibilità di ricavarne godimento. A determinare i modi di lettura è insomma una duplicità di fondo o, meglio, una compresenza di atteggiamenti opposti, l’uno ricettivo, l’altro di carattere antagonistico.

Come appare evidente, la riflessione di Spinazzola trae alimento dal richiamo a una pluralità di riferimenti: non solo Jauss e Iser (i più scontati), ma anche Sartre, Auerbach, Mukarovskij, Freud, e soprattutto il Gramsci di Letteratura e vita nazionale. A corroborarla è l’attenzione assai stretta ai concreti eventi letterari dell’Italia moderna e contemporanea. Dal volume proviene, in effetti, l’invito a ripensare la storia della letteratura in una prospettiva di ampiezza massima che tenga conto dell’intera produzione letteraria (compresa quella di consumo, di solito ignorata o considerata con disprezzo dalle élite intellettuali) e dei fattori extraletterari che hanno contribuito a determinarne gli sviluppi. Il linguaggio adottato è sempre controllatissimo, alieno dagli inutili tecnicismi ma preciso e ricco di sfumature. L’estremo controllo linguistico tuttavia non raffredda bensì rafforza il vigore del discorso spinazzoliano, animato oltre che da intenti di chiarificazione teorica anche da un lucido proposito di tipo militante, ispirato a principi di politica culturale.
Ciò a cui Spinazzola mira è in sostanza chiamare a raccolta l’intellettualità democratica, e anzitutto di sinistra, in vista di una ripresa di quella battaglia di democratizzazione della vita letteraria, ingaggiata alle origini dell’età moderna e da troppo tempo lasciata a languire. A venire proposta dunque è una vera ripresa dell’impegno letterario. Ma in forma più avanzata rispetto al passato, senza nessun cedimento alla retorica o al contenutismo deteriore. Certo, l’interesse è rivolto primariamente al romanzo; e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di un genere germogliato e irrobustitosi sotto la pressione di istanze antiaristocratiche. [...]
D’altra parte, Spinazzola dimostra apertamente le sue simpatie per un tipo di narrativa istituzionale, che rinnovi dall’interno la tradizione. E tuttavia non vi è da parte sua nessun tentativo di accreditare o imporre un modello piuttosto che un altro. Non diversamente da Gramsci, egli appare interessato alla formazione delle condizioni essenziali perché si esplichi una letteratura modernamente di massa più che ai risultati particolari. Compito di tutti i letterati è rinsaldare l’attuale civiltà letteraria, allargandone i confini e conquistando alla lettura nuovi appassionati. Poi gli scrittori siano liberi di seguire le strade che prediligono.



Scoprire Gramsci e il suo funzionalismo

Da qualche tempo, l’interesse per il pensiero di Gramsci si è pressoché spento. Eppure la fecondità di tale pensiero è tutt’altro che venuta meno. Lo dimostra Spinazzola nel saggio conclusivo di Critica della lettura, nel quale viene proposta una nuova interpretazione delle riflessioni che Gramsci ha dedicato ai fatti letterari nei Quaderni del carcere.
Professor Spinazzola, in che senso questo concetto merita di essere ripensato?
Il concetto di letteratura nazional-popolare ha risentito di una formulazione che può lasciare adito a degli equivoci. Si tratta tuttavia di un concetto di grande chiarezza, che aiuta a definire un tipo di letteratura che esprima dei valori estetici riconoscibili ma che nello stesso tempo abbia una presa su un pubblico molto ampio. Gramsci fa una distinzione netta tra la letteratura nazional-popolare e la letteratura popolare prodotta specificamente per il pubblico meno preparato. Da parte sua, non c’è nessuna confusione di valori: una cosa sono Tolstoj, Balzac, Shakespeare (i grandi esempi di letterati nazional-popolari da lui studiati), altra cosa i feuilletonisti, i giallisti o gli autori di romanzi d’avventure. Nondimeno, egli sottolinea l’importanza che la letteratura popolare riviste per la formazione del gusto e per l’educazione culturale delle masse. E lo fa secondo un’ottica di tipo funzionalistico.
In che cosa consiste il funzionaliamo di Gramsci?
Il funzionalismo gramsciano si fonda sulla premessa che tutti gli uomini hanno dei bisogni estetici. Di solito questi bisogni vengono riconosciuti come tali solo ai livelli superiori, negli strati alti della società. Gramsci, invece, riconosce che anche i ceti popolari hanno in sé tali bisogni, benché li soddisfino come lo consente il loro livello di preparazione culturale. Dunque, tanto i prodotti rubricabili sotto la categoria di letteratura nazional-popolare quanto quelli appartenenti alla letteratura popolare assolvono alla stessa funzione: rispondono cioè allo stesso tipo di attese, sia pure in modo complesso gli uni, meno gli altri. Sul piano della teoria letteraria, la lezione di Gramsci ha un’attualità importante, e non si può che restare ammirati notando quanto egli ha giocato d’anticipo precorrendo orientamenti che hanno avuto sviluppo decenni dopo. Questo non vuol dire che il pensiero di Gramsci sia esente da limiti e da contraddizioni anche rilevanti. L’universo concettuale gramsciano è un universo molto complesso: vi è in esso la ricerca di una oggettività scientifica, ma vi sono anche aspetti che rimandano a una concezione militante del fare critica e quindi a un’urgenza di problemi che ai nostri tempi non hanno più corso.
Qual è l’aspetto di maggiore attualità di Gramsci?
Senz’altro la denuncia dell’impopolarità della letteratura italiana in Italia. La circolazione dei beni letterari continua a essere molto ristretta nel nostro Paese. La situazione sta anzi peggiorando, e infatti più che nel passato siamo in larga misura dipendenti dai prodotti esteri. Certo, non è da auspicare (e infatti Gramsci non lo auspicava) una chiusura nei confini italiani, una sorta di proibizionismo letterario; però mettere in risalto il fatto che i lettori italiani sono molto più abituati a leggere i libri degli autori stranieri che dei loro connazionali, questa è una cosa importante. Gli scrittori italiani faticano a effettuare delle rappresentazioni letterarie che siano tali da cogliere una disposizione obiettiva della sensibilità e del gusto del pubblico nazionale.

© Giuseppe Gallo (1992)
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