lunedì 28 settembre 2009

Bersani: vince il realismo

I congressi dei circoli del PD si avviano a conclusione senza troppe sorprese. E si può forse abbozzare un primo bilancio, sia pure molto provvisorio. Andando in giro per il sud-ovest di Milano a presentare la mozione di Pierluigi Bersani, ho riscontrato una passione condivisa, resistente alla sconfitta, alle delusioni e allo scetticismo. (Quando dico condivisa intendo dire indipendentemente dalle preferenze manifestate per questo o quell’altro candidato.)

Intendiamoci. È la passione disincantata di chi è conscio dei limiti che hanno frenato l’operato del partito nei suoi primi due anni di vita, ed è per questo restio ad abbandonarsi alle facili illusioni che avevano accompagnato invece le primarie veltroniane del 2007. Ma è una passione informata (dagli interventi affiorava una lettura attenta delle mozioni) che lascia ben sperare. Perché indica un attaccamento al progetto del PD e una perdurante disponibilità a sacrificare il proprio tempo libero per il progresso del Paese.

D’altra parte, il disincanto è un positivissimo segno di realismo. E, appunto, interpreterei il consenso accordato a Bersani anzitutto come invito a tornare a una sana politica realistica, senza la quale non potremmo aspirare a tornare al governo. A scanso di equivoci, voglio precisare che non ho percepito alcuna tentazione di restaurazione ideologica o nostalgia per il passato diessino o comunista. La richiesta era più specifica: è stata una buona idea riunire i riformismi, però ora diamoci un’organizzazione, coordiniamo meglio i nostri sforzi e, soprattutto, definiamo con maggiore chiarezza le nostre priorità così da correggere quella confusione che ha disorientato i nostri elettori. Questo era il messaggio.

Se l’interpretazione è corretta, a risultare sconfitta è la versione presidenziale (americana) del partito, sostenuta da Veltroni e condivisa da Franceschini con pochi distinguo. Il partito liquido, leggero, che ostenta la sua apertura alla società civile ma in realtà si chiude in un burocratismo castale che ai simpatizzanti riconosce solo la partecipazione passiva degli spettatori. Lo confermano le candidature per le politiche e le europee, nonché le stesse primarie concepite come strumento di propaganda o sistema di ratifica delle decisioni già prese ai vertici, secondo i classici schemi della diplomazia.

Rimane un difetto di fondo: l’estenuante lunghezza di un iter congressuale ai limiti dell’irrazionalità che da mesi rallenta l’iniziativa del PD, impedendogli di contrastare efficacemente l’azione del governo, in un periodo peraltro di fortissima fibrillazione.

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