martedì 15 gennaio 2008

La legge dei nanetti e il ribaltone virtuoso

Le attuali controversie sulla riforma elettorale mi annoiano mortalmente. Non perché l’argomento non mi sembri importante. Tutt’altro. Ma perché trovo imbarazzante il continuo tira e molla dei partiti, delle loro correnti, dei singoli deputati. Vedremo come sarà accolta la bozza Bianco. A caldo, il sospetto è che sia frutto di troppi compromessi per essere efficace o anche solo per continuare il suo iter (e ciò nonostante sia da apprezzare l’enorme lavoro svolto).

In linea di principio, credo che un buon strumento per valutare la bontà o meno di una proposta di riforma elettorale sia la «legge dei nanetti», formulata mesi addietro da Giovanni Sartori: «Se una riforma elettorale è avversata dai partitini, vorrà dire che va bene; se invece piacerà ai partitini, vorrà dire che è cattiva.»

Sartori, tuttavia, non è tipo da farsi illusioni. Sa bene che la sua legge tiene conto di quello che sarebbe necessario per l’Italia d’oggi (garantire la governabilità, in quanto condizione necessaria e imprescindibile per esercitare il potere), ma ignora la situazione reale della politica italiana che trasforma quella legge in un paradosso. In effetti, la legge dei nanetti, che garantirebbe la governabilità, dovrebbe essere applicata dall’attuale sistema politico che versa in uno stato di ingovernabilità, e che pertanto fatica a prendere decisioni coerenti anche sulle “piccole” cose. Figuriamoci su quelle fondamentali!

Non possiamo pretendere che gli attuali schieramenti politici facciano come il barone di Münchausen e si tirino fuori dal pantano prendendosi per il codino. Né si può pretendere che i partitini vadano allegramente incontro alla morte politica, senza dibattersi e dare fondo al proprio istinto di sopravvivenza. Occorre un atto di forza dall’esterno – del sistema politico o degli attuali schieramenti: insomma, o il referendum o un diverso schieramento ad hoc. Nelle attuali condizioni, la seconda ipotesi sembra la meno probabile, ma è anche la più fruttuosa. Che cosa prevede? Prevede che i giganti – Forza Italia e Partito Democratico – si mettano d’accordo e siano risoluti non solo nei confronti dei nanetti ribelli e parassitari che infoltiscono le rispettive corti, ma anche nei confronti dei vassalli, che hanno ancora più interesse a indebolire la loro forza.

Almeno in teoria, non si tratta di un’eventualità impossibile. È più facile raggiungere un accordo tra due forze equivalenti per peso elettorale e (nonostante gli slogan ostili, consueti agli standard di una campagna elettorale permanente) non troppo dissimili in alcuni ambiti strategici che non fra una molteplicità eterogenea e squilibrata di forze, come sono quelle che reggono tanto la coalizione di centrosinistra quanto quella di centrodestra.

Intendiamoci: non sto dicendo che FI e PD siano uguali o che facciano la stessa politica (questa sarebbe una sciocchezza). Voglio dire che, sul piano istituzionale, hanno interessi comuni (il bipolarismo), che non possono condividere con i rispettivi alleati (i quali, giocando la carta del propozionale, mirano in realtà ad avere le mani libere, e cioè a rimettere in discussione la contrapposizione bipolare). Né possono fare i propri interessi senza cannibalizzare questi ultimi.

Del resto, l’operazione di restauro che FI (o partito delle Libertà) e PD hanno compiuto alla fine del 2007 non avrebbe senso se questo non fosse lo scopo. L’efficacia di quella operazione si misura in base alla capacità dei due partiti di snellire le coalizioni in cui si collocano: cioè, appunto, cannibalizzare gli alleati senza tanti complimenti. E potranno riuscirci meglio rinunciando a farsi guerra quando i loro interessi coincidono.

Certo, un eventuale accordo FI-PD potrebbe portare a una crisi di governo. Ma non è scritto nelle stelle. Nanetti e vassalli sanno che la festa non può durare in eterno (se tirano ulteriormente la corda, già tesa al massimo, provocano la bancarotta politica dell’Italia e quindi anche la bancarotta di se stessi). Di fronte a una presa di posizione ferma dei due giganti, potrebbero anche decidere che è più conveniente per loro serrare le fila attorno al naturale alleato, magari riunendosi in una formazione più ampia che offra loro maggiori possibilità di pressione (sono prospettive già in atto).

Senza contare che, insieme, FI e PD avrebbero una larghissima maggioranza: forse non proprio il 70% dei consensi elettorali che si ricava dall’ottimistica somma dei rispettivi sondaggi, però certamente una percentuale che farebbe dormire sonni tranquilli. Di fronte alla riottosità dei partner, potrebbero minacciare di ribaltare le attuali alleanze (cosa tutt’altro che contraria alle leggi della politica) e andare provvisoriamente uniti alle elezioni, al fine di togliere il Paese dall’impasse in cui si trova, ammodernare l’assetto istituzionale e tornare, una volta superata l’emergenza, a dividersi, com’è naturale che sia. L’elettorato capirebbe che si tratta di un atto di responsabilità civile (ovviamente, io non li voterei, ma questo è un fatto del tutto irrilevante).

È vero invece che l’eventuale accordo FI-PD impedirebbe anche soltanto di pensare a una legge sul conflitto di interessi. Ma si può obiettare che quella è una legge che l’odierno governo Prodi non è comunque in grado di realizzare. Tanto vale rinunciarvi, per il momento, in cambio di un fruttuoso accordo almeno sulla riforma elettorale (l’alternativa, come temo, è non avere né una seria legge sul conflitto di interessi né una buona riforma elettorale).

Ho tracciato un quadro da fantapolitica, me ne rendo conto. Ma non vedo perché la fantapolitica debba essere meno appetibile della farsa o della commedia degli orrori che quasi regolarmente ci propina palazzo Madama.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Leggere questa rifelssione alla luce dei fatti accaduti recentemente mi rende triste. In italia pare non si riesca a cambiare nulla.
Profondamente demoralizzato.

Giuseppe Gallo ha detto...

Eh, in effetti... Anch'io provo un'enorme tristezza. Il governo Prodi mi andava molto stretto, ma se l'ho criticato l'ho sempre fatto dall'interno, non dall'esterno.

Non so cosa ci attende. Ma è probabile che dopo lo spettacolo delle contraddizioni del centrosinistra ci toccherà assistere allo spettacolo delle contaddizioni del centrodestra (che, nonostante quel che si dice, mi sembrano molto più marcate).

Arriveremo a un sistema più semplificato e funzionale, che consenta ai governi di governare? Il mio sospetto è che occorra una pressione dall'esterno: preferirei che venisse dall'opinione pubblica e non dalla magistratura (come negli anni Novanta).

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