martedì 16 ottobre 2007

La guerra dei numeri

Ieri sera, a Porta a porta, Enrico Letta ha ripetuto la sua soddisfazione, e quella degli altri architetti del Partito democratico, per i 3 milioni e rotti di persone che domenica si sono recati a votare alle primarie per l’elezione del segretario e dell'assemblea costituente del nuovo partito. Andrea Ronchi, a sua volta, ha ribattuto ricordando le 500 mila persone che sabato hanno partecipato a Roma alla manifestazione di Alleanza nazionale. E Paolo Bonaiuti, di Forza Italia, ha fatto valere i 2 milioni accorsi il 2 dicembre scorso in piazza San Giovanni ad ascoltare Berlusconi.

Di fronte a queste cifre si ha l’impressione che l’Italia sia un esempio di salute pubblica che fa impallidire quella degli stati in cui la democrazia ha più antiche radici: Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti. Del resto, poche ore prime, a Otto e mezzo, Fassino aveva sottolineato che da noi la partecipazione politica è più alta che altrove (ed, evidentemente, oltre alle manifestazioni recenti, aveva in mente le elezioni politiche del 2006, che hanno visto un’affluenza alle urne dell’86 %, inusitata altrove).

Ma, in un blog seguito da poche persone e che non ha problemi di consenso, possiamo dire quello che per ragioni di opportunità si deve tacere in televisione e sulla stampa: dal punto di vista della democrazia, quei numeri significano poco. Sono il prodotto, anzi, di una battaglia politica drogata (diverso è il caso dei cinque milioni di lavoratori che si sono espressi nel referendum sul Protocollo in materia di welfare, come nel salotto di Vespa ha ricordato un Gavino Angius più realista degli altri, ma anche molto più sottotono).

Perché, nonostante il loro carattere altisonante, quelle cifre lasciano perplessi? Per due ragioni.

La prima è che il senso delle azioni che hanno portato a quei risultati è viziato dalle condizioni in cui si svolge la politica odierna, e cioè dall’eccessiva esposizione mediatica, dalla personalizzazione dei leader (ormai non più distinguibili dai vip dello spettacolo) e dall’insistita logica dell’emergenza a ogni costo. Quelle cifre testimoniano il successo di un grande spettacolo di massa. Ma il loro reale contenuto politico è assai modesto. Il governo non è più debole a causa delle manifestazioni di AN o di FI (lo è semmai per ragioni interne, dovute alla sua costituzione). E il 75 % dei voti raccolti da Veltroni dimostrano solo che le primarie sono uno strumento di facciata: il plebiscito non è un metodo della democrazia, lo avevamo scritto tutti quando nel marzo 2004 Putin stravinse le elezioni presidenziali in Russia con il 71,3 % dei voti. La democrazia esiste laddove c’è una reale competizione e non dove il risultato è scontato (non a caso, ai tempi della Guerra Fredda e della conventio ad excludendum ai danni del PCI, dicevamo che in Italia la democrazia era bloccata. Possibile che proprio coloro che hanno subito quella condizione lo abbiano dimenticato tanto facilmente?).

La seconda ragione è che questa battaglia per l’audience risponde a puri obiettivi tattici. Da una parte, serve alle holding partitiche a mantenere costantemente vivo il contatto con il loro “pubblico”, e per questo nel “discorso della politica” (come lo chiama Habermas) la funzione fàtica (quella che richiama l’attenzione dell’ascoltatore) rischia di prendere il sopravvento sulla funzione referenziale (ciò di cui si parla, le idee, i progetti, gli scopi). Dall’altra parte, serve a mandare un messaggio all’avversario e intimidirlo mostrandogli la propria forza: un modo, insomma, per esibire i muscoli. Entrambe queste manovre tattiche sono fondamentali per la politica, e non c’è da scandalizzarsi. Ma non sono affatto un segno di novità. Tutt’altro. E, soprattutto, non sono di per sé garanzia di buona amministrazione dello Stato.

1 commento:

greystoke ha detto...

E' una lucidissima e convincente immagine della situazione. Mi viene voglia solo di aggiungere che le holding partitiche esibiscono i muscoli anche perché in questo momento si sentono minacciate (dal basso) sia dal referendum dei 5 milioni di lavoratori, sia dalla massiccia partecipazione al V-Day nelle piazze.

Nelle stanze del Palazzo si respira un'aria di insicurezza. La maschera mediatica è ormai sgualcita, si è aperto uno squarcio nel cielo di carta del teatrino politico.

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