lunedì 5 gennaio 2009

Otto punti sul Medio Oriente

Fermare Hamas, esigere da Israele il cessate il fuoco. Potrebbe essere questo (o uno simile) il titolo di un serio appello, che tenti di unire le forze riformiste del centrosinistra e del centrodestra. (Pur scritte in un momento in cui le informazioni s’accavallano in modo spesso contraddittorio lasciando inevitabilmente molti spazi oscuri, le note che seguono provano a partire dalla cronaca per individuare alcune provvisorie linee guida da offrire al dibattito per una tregua duratura).

1) Su Hamas ricade la responsabilità del conflitto in corso. Ma il proseguimento delle operazioni di terra da parte di Israele rischia di accrescere l’odio e di rendere più difficile il processo di pace. Israele ha già colpito un gran numero di obiettivi e ha ridotto duramente le capacità di aggressione di Hamas. Ora può fermarsi, e deve farlo in tempo. Deve cioè resistere alla tentazione di stravincere, di annientare l’avversario, per non rischiare di passare dalla parte del torto e perdere il consenso dell’opinione pubblica internazionale.

2) Ha il dovere di farlo anche perché il proseguimento delle operazioni di terra renderebbe più problematica la posizione degli arabi moderati e più arduo il loro compito nel tenere a freno il radicalismo interno. Abu Mazen ha più volte messo in guardia Hamas dai pericoli che correva nel rompere la tregua e ne ha riconosciuto le responsabilità nel dare avvio al conflitto. è comprensibile che oggi corregga parzialmente le sue posizioni: è una misura cautelativa necessaria per non attirare su di sé e su al-Fatah il risentimento interno. Ma questo cambiamento di tattica è una spia dei danni che il conflitto può provocare, indebolendo le forze più disponibili al dialogo. Lavorare per una tregua duratura vuol dire fare l’impossibile per riaprire il confronto con le fasce moderate del popolo palestinese e più in generale del mondo arabo. Senza un confronto e un accordo con esse, non può esserci alcuna pace duratura.

3) Israele ha il diritto di difendersi. Ma il governo di Israele dovrebbe chiedersi se la prolungata operazione bellica non finisca col fare gli interessi del network del terrore. Per alcuni anni, Israele ha condotto una serie di azioni mirate volte a colpire i massimi leader di Hamas fra i quali, nel marzo 2004, lo sceicco Yassin. Tali azioni hanno inferto, nell’immediato, un duro colpo all’organizzazione. Ma le hanno anche fornito un potente strumento di propaganda che nel gennaio 2006 ha contribuito alla vittoria elettorale di Hamas. La guerra in corso oggi non rischia di produrre effetti ancora più disastrosi?

4) è comprensibile che Israele si impegni per il mantenimento di una disparità di forze rispetto ai suoi vicini. è uno Stato democratico e liberale che in passato si è trovato circondato da Stati nemici e nel presente (dopo i trattati di pace stipulati con Egitto e Giordania) si trova nel mirino del radicalismo e del terrorismo. Nessuno può impedirgli di cautelarsi. Ma, a maggior ragione, uno Stato democratico e liberale ha il dovere di usare la propria forza in modo ragionevole, cioè proporzionato ai fini difensivi.

5) Non siamo più all’Intifada. Hamas dispone di un vero e proprio esercito, sia pure composto di guerriglieri mischiati alla popolazione civile. La logica di molti suoi capi tuttavia rimane quella del terrore: si basa sulla strategia della tensione, sulla vocazione al martirio. Hamas (come Hezbollah, come al Qaeda, come parte dell’Iran) può solo fantasticare di eliminare Israele e tutti gli ebrei dalla faccia della Terra. Non ha i mezzi per farlo. Può essere invece seriamente tentata di trasformare la Palestina in uno Stato kamikaze, cioè di trascinare i suoi abitanti in un immane bagno di sangue nel tentativo di scatenare una reazione a catena fra gli Stati arabi e nella popolazione araba in Occidente.

6) Gli arabi moderati sono perfettamente coscienti di questo pericolo. Sanno che, insieme a Israele e agli USA, loro sono il primo obiettivo del network del terrore (in proposito Bin Laden è stato più volte esplicito). Ciò significa che gli arabi moderati hanno tutto l’interesse a combattere il radicalismo nei propri confini. E questo è anche l’interesse dei moderati palestinesi. Ma è compito di Israele e dell’Occidente consentire ai moderati palestinesi di disporre dei mezzi per combattere il radicalismo.

7) In sostanza, Israele e l’Occidente si dovrebbero chiedere senza pregiudizi se non sia opportuno riconoscere all’ANP il diritto a disporre di un esercito regolare, sia pure sotto la supervisione della comunità internazionale. Lasciare il monopolio della forza ad Hamas non si è dimostrata una cosa saggia.

8) Durante la guerra dei Sei Giorni, USA e URSS intervennero con prontezza sulle rispettive sfere di influenza per evitare le possibili degenerazioni. Nessuno ha nostalgia del duopolio della Guerra Fredda. Ma, oggi, le istituzioni della comunità internazionale (come già è avvenuto nelle ultime precedenti guerre) danno prova di grande fatica nell’assolvere quella funzione di garante dell’ordine internazionale che un tempo il duopolio USA-URSS esercitava secondo i metodi tradizionali dell’equilibrio delle potenze. Questo è molto preoccupante, perché accresce il senso di tensione e perché incoraggia gli Stati (non solo del Medio Oriente) a regolare i propri conflitti autonomamente. Nonostante tutte le divisioni interne di origine storica, la UE dovrebbe avere interesse a ricercare una coesione di intenti in modo da esercitare una più forte pressione sull’ONU e impedire che le grandi scelte che riguardano il pianeta sfuggano alla logica del confronto democratico.

5 commenti:

Spartacus Quirinus ha detto...

A me sembra un post molto equilibrato proprio perché tenta di trovare possibili soluzioni e per fermare le armi.

daniele sensi ha detto...

Gesù, finalmente su Kilombo qualcuno che ragiona.

Anonimo ha detto...

Questo post non discute in alcun modo la questione dell'embargo alimentare, sanitario ed energetico che ha afflitto la Striscia da diversi mesi, cioé la vera causa della fine della tregua. Non si affronta nemmeno la questione delle condizioni di vita della popolazione palestinese, in Cisgiordania come nella Striscia, del sistematico conculcamento dei diritti di sfruttamento della terra cui sono sottoposti, della limitazione della libertà di movimento fino alla incarcerazione arbitraria e senza mandato da parte delle forze di sicurezza israeliane.

Finché si evitano i punti sostanziali della questione palestinese - l'oppressione quotidiana e non episodica della dignità del popolo palestinese - allora si fa carta straccia, o chiacchiere criminali.

Giuseppe Gallo ha detto...

E' vero, Abdel Nur, qui non si affrontano i temi che tu hai elencato. Ma questo non significa che non li teniamo presente.

Si scelgono i temi in base agli scopi del discorso che si vuole fare. Adesso l'urgenza è arrivare al cessate il fuoco.

Se i capi di Stato si mettessero a fare la discussione che proponi tu, non ne usciremmo mai. Uno dice: "L'embargo è la causa della fine della tregua". L'altro ribatte: "Ma l'embargo è una misura presa in seguito agli atti di violenza". Capisci che si entra in una catena senza fine.

Per il momento arriviamo al cessate il fuoco. Poi, riprenderemo il dibattito sugli errori di questo e di quell'altro. Però sarebbe una ripresa, non un inizio: dei temi che ricordi tu, si è sempre parlato. In tutti i luoghi.

Ultima osservazione: le "condizioni di vita" non giustificano in alcun caso il ricorso al terrorismo. Questo deve essere un punto fermo. E su questo i palestinesi e gli arabi moderati sono d'accordo.

Anonimo ha detto...

Sono otto punti sui quali concordo pienamente e pertanto non aggiungo altro.
Ciao a entrambi.
Paolo Borrello

ww.paoloborrello.ilcannocchiale.it

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